Montebello e i Veneti antichi: il villaggio e la necropoli

di Michela Menti

Continuando la salita per Strada dei Mori, verso la cima del colle è tutta un’alternanza di viti e di pali, a disegnare un perfetto motivo geometrico. Sulla sommità, all’incrocio delle due vie comunali, il terreno diventa quasi pianeggiante, una specie di piccolo altipiano ineguale, poco lungi dal Monte Lago (B. Munaretto, 1932). E’ denominato “la Gualiva”, termine dialettale veneto usato per indicare un’area collocata in collina ma comunque pianeggiante.
Alzando lo sguardo proprio sopra la Gualiva si vede la cima del Monte Lago (o Montelago) che assieme al Monte Castello, sul suo fianco orientale, abbracciano l’abitato di Montebello. Il nome stesso richiama la presenza di un lago di cui oggi non vi è più alcuna traccia. Secondo G. Maccà su questo colle, nei tempi antichi, si ergeva un secondo castello di Montebello detto di Brusaporco distrutto forse nel 1324.

L’area che va dalla Gualiva al Monte Lago e al Monte Castello è ricca di antica storia e in ogni sua zolla ancora è custodito l’antico splendore della civiltà dei Venetkens, “Gente dei Veneti” come solevano.
Le prime notizie di ritrovamenti preromani risalgono al 1876 quando P. Lioy pubblicò alcuni oggetti di ornamento che sostenne aver trovato a Montebello. Nel 1932 B. Munaretto descrisse nella sua storia una necropoli di non indifferenti dimensioni scoperta nei primi mesi del 1905 in località detta La Gualiva dove gli antichissimi abitanti del luogo scelsero di deporre le ceneri dei loro defunti. Essa avrebbe compreso una cinquantina di tombe ad incinerazione, le quali consistono in fori circolari, scavati nel tufo vulcanico, del diametro di circa sessanta centimetri, dette tombe a pozzetto. Negli anni ’60 padre A. Menin raccolse sul Monte Lago e nelle sue pendici boscose di levante una discreta quantità di frammenti che riuscì a ricomporre in una ventina di vasi: urne cinerarie, tazze, coppe e acquistò pure un corredo tombale pressoché integro. Si tratta di materiali risalenti all’inizio dell’età del Ferro (IX secolo a.C.) e al perido VI-II secolo a.C. e oggi conservati al Museo di Chiampo, al Museo di Santa Corona di Vicenza, al Museo Civico di Storia Naturale di Verona e al Museo Nazionale Atestino di Este.

Gli scavi della Soprintendenza dei Beni Archeologici condotti a Montebello Vicentino negli anni ’70 portarono alla luce l’antico abitato dei Veneti in località Pignare, quell’area compresa tra i due colli quello del Lago e quello del Castello. Furono individuate tre fasi abitative che vanno dal Bronzo Recente e Finale (XIII sec. a.C.) all’età del Ferro (IV-II secolo a.C.). Le abitazioni unifamiliari erano costruite con muri a secco e pavimenti in terra battuta, erano tutte orientate nella stessa direzione ed erano formate da un seminterrato e da un elevato di materiale deperibile, come canne assemblate con legante argilloso, il tetto era di legno e paglia. I materiali di costruzione nell’abitato di Montebello erano principalmente il basalto nero, il porfido rosso ammannitico e il calcare. Caratteristica per il momento riscontrata solo a Montebello, è la presenza di diverse specializzazioni artigianali in edifici distinti. Un esempio è la cosiddetta “casa del vasaio” (IV-III secolo a.C), un laboratorio diviso in due locali, con un focolare che probabilmente veniva usato per la fabbricazione dei vasi in argilla. In uno dei due locali furono ritrovati dei “pani” di argilla e un recipiente dove veniva raccolta sabbia di fiume per l’impasto. In un’altra delle abitazioni portate alla luce fu rinvenuto un manufatto idraulico per la raccolta degli scoli dell’acqua piovana. L’unico finora conosciuto dell’epoca (III secolo a.C.).

Le basi fondamentali di sussistenza dei Veneti antichi erano l’agricoltura e l’allevamento. Coltivavano la vite e producevano vino. I vini dei veneti erano apprezzati anche dai romani e sembra che la consorte dell’imperatore Augusto non si facesse mancare il prelibato vino retico, prodotto in terra veronese. Il vino veniva conservato in anfore e consumato in coppe. Proprio a Montebello, furono ritrovati semi di vinaccioli e decine di chili di semi di cereali e legumi contenuti in recipienti di legno carbonizzato.

La scrittura venetica procedeva da destra a sinistra e le parole non erano divise ma scritte tutte di seguito. Padre Aurelio Menin nel 1968 rinvenne nel vigneto della Gualiva tre lettere del loro alfabeto su un fondo di ceramica gialla. La più chiara ed inequivocabile è una “VI” incisa a crudo .
Le maggiori informazioni sulla cultura e società veneta provengono dallo studio delle necropoli, cioè le città dei morti. Le necropoli erano ubicate fuori dal centro abitato e proprio per questo spesso furono risparmiate dai successivi interventi urbanistici e quindi sono potute arrivare fino a noi. Praticavano il rito della cremazione: il corpo veniva bruciato su roghi per diverse ore. Le ossa venivano separate dai carboni e quindi lavate e i resti degli ornamenti del morto venivano raccolti in un vaso ossuario. Oggetti appartenuti al defunto oppure offerti dai famigliari, quali utensili da lavoro, vasi, coppe, bicchieri, venivano disposti nelle tombe a fianco del vaso ossuario. I corredi funerari ci hanno permesso di delineare la struttura della società, in quanto diretto rapporto con la posizione ed il ruolo svolto dal defunto quando era in vita.

Il tipo e la struttura delle tombe variano nel tempo e si presentano con caratteristiche diverse da luogo a luogo, anche in rapporto ai diversi materiali usati per la loro costruzione.

Negli anni ‘70 la Soprintendenza dei Beni Archeologici del Veneto intervenne nell’area della necropoli (località la Gualiva) a seguito di una segnalazione della famiglia Menti. Lavori agricoli sul vigneto portarono in superficie materiale archeologico compreso in un periodo che va dalla metà del V secolo al I secolo a.C.. Si rinvenne un corredo funebre parzialmente intaccato dai lavori agricoli e da scavi abusivi composto da quattro vasetti accessori e frammenti dell’ossuario.
A metà degli anni ’70 furono intrapresi degli scavi archeologici regolari sul luogo della necropoli. Purtroppo però le sacre sepolture avevano già subito il saccheggio di improvvisati tombaroli che ne trafugarono in parte i reperti. Furono comunque recuperati altri corredi tombali. Le sepolture mostrarono differenti riti funebri, alcune a cremazione mentre altre ad inumazione. Quest’ultima tecnica di sepoltura era più carattestistica della tradizione celtica. La presenza di entrambe nel medesimo luogo, così pure di oggetti e armamenti a carattere celtico, indicano come probabilmente a Montebello Vicentino convivessero pacificamente entrambi i popoli.

Negli anni ’80 e anche negli anni ’90 vennero consegnati alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto altri materiali frutto di raccolte sporadiche nella zona della necropoli: tra cui armamenti di tipo celtico, spade, coltelli, foderi, punte di lancia, fibule, pendagli.

Parte di questi oggetti sono oggi esposti al Museo di Archeologia e Scienze Naturali G. Zannato di Montecchio Maggiore. In particolare il corredo funerario di due tombe risalenti alla fine del V secolo a.C. e recuperate la prima nel 1979 e la seconda nel 1991-1992. La a prima tomba è la sepoltura di un uomo con le proprie armi (coltello con frammenti di fodero, punta di giavellotto) e la propria armatura (gancio di cintura, fibule). La seconda è più ricca di oggetti e sembrerebbe contenere una doppia deposizione, probabilmente una coppia. Una parte del corredo è tipicamente femminile (perle, scettri, fibule, pendagli), mentre il resto sembra essere tipico di un corredo maschile (il gancio per la cintura, gli anelli porta fodero). Gli oggetti qui contenuti sono di pregevole qualità e alcuni sono anche piuttosto rari. Gli ornamenti funerari e il vasellame sono di provenienza locale, ma anche importati. Ciò dimostra come Montebello, sin dall’antichità, avesse un’importante rilevanza commerciale e intrattenesse scambi con le popolazioni dell’area veronese, della Lombardia orientale e del Trentino Alto Adige. Interessante notare come alcuni manufatti non abbiano elementi comuni con altri simili di zone limitrofe e si possano definire fino a prova contraria, esclusivi di Montebello Vicentino. Si tratta di alcune fibule con decorazione a linee incise e a “occhi di dado”.